C ari amici,
Con oggi è un anno che nel mio amato e ridente paesino affacciato in egual misura sul Benaco e sul Mincio, si iniziava il confinamento in casa.
Per lungimiranza del nostro sindaco, il 4 marzo tutti ci chiudemmo nelle proprie case.
Regnava un clima spaventoso, silenzio ovunque, silenzio carico di tensione, pesante e orribile; l’aria era rotta di qualche sirena di ambulanza che dall’ovest correva verso l’est, per cercare di salvare qualche povero malato.
Il bianco delle autolettighe, prese il posto del nero dei monatti di Manzoniana memoria. Perfino il cielo divenne bigio, non vi erano voli, sodo qualche elicottero dell’esercito che percorreva la rotta verso oriente.
Una sorta di apocalisse, un periodo nero che abbiamo vissuto e che segnerà la storia e la vita di ogni uno di noi.
Un tempo si calcolavano le moderne vicende con il metro della distanza dalla seconda guerra mondiale, oggi dall’epidemia di Corona Virus.
L’angolino non deve essere motore di tristezza, ma avanguardia di ricordi e sorrisi, quindi passiamo al solito almanacco, ripescando qui e là facezie assortite:
La storia del diritto Italiano, che io adoro, oggi ringrazia, infatti, nel 1848 venne promulgato il famosissimo Statuto Albertino, che rimase in vigore fino al 1946. Secondo me una rilettura accademica oggi non ci starebbe male, una legge di ispirazione Liberale, che son sicuro troverebbe estimatori e potrebbe adattarsi molto bene alla nostra Patria. Ma siccome è stata fatta nel periodo monarchico, per definizione storiografica moderna, che è chiaramente di matrice comunista, essa è sbagliata, da cancellare dalle memorie, condannata all’oblio o come dicevano i Latini alla “ damnatio Memoriae “ massima pena possibile.
Unica colpa: essere stata realizzata da un monarca.
Rimanendo in tema di “diritto” e di giurisprudenza, come oggi nel 1947 venne eseguita l’ultima condanna a morte sul suolo Patrio. In quel di Torino vennero fucilati tre banditi che avevano massacrato a bastonate dieci persone in una cascina piemontese e poi le avevano gettate, alcune ancora vive, in una cisterna, l’episodio fece assai scalpore ed è rimasto famoso come l’eccidio di Villarbasse. La sentenza venne eseguita per mezzo della fucilazione.
Secondo fonti storiche discordanti la vera ultima condanna a morte in Italia avvenne il 5 marzo dello stesso anno alle porte di LaSpezia per crimini ideologici e di guerra, ma la cosa è assai dibattuta, anche in quel caso si adotto il metodo della fucilazione.
Mi piacerebbe ripercorrere con voi gli ultimi lembi di storia del diritto Italiano riguardanti la Pena di morte sul patrio suolo.
Cominciamo con il dire che prima dell’unità d’Italia, tutti gli stati la contemplavano fuorchè il Granducato di Toscana in cui vigeva il magnifico codice penale creato alla luce della modernissima e di ispirazione liberal illuminista Legge Leopoldina del 1786, e pensate che quando la Toscana venne annessa all’Italia nel 1861, rimase in quelle terre l’eccezione della non punibilità del reo con la morte. Infatti anche la neo nata nazione tricolore, aveva in vigore questa massima pena.
Dobbiamo attendere 1886 per vederla abolita anche nel resto d’Italia, grazie al nuovo codice penale voluto dal ministro bresciano Giuseppe Zanardelli, ma solo in ambito civile, poiché nel codice penale militare di guerra essa rimase presente.
Con l’avvento del Fascismo, le cose cambiarono e venne introdotto il codice Rocco, che prevedeva la pena di morte per reati molto gravi e per reati contro lo stato ed il Re. Questo stato di cose durò fino al 1944 quando l’Italia agonizzante reintrodusse l’abolizione di tale metodo per tutti i reati previsti dal vecchio codice Fascista, ma la mantenne per i collaborazionisti del vecchio regime.
Le cose cambiarono di nuovo nel maggio del 1945, data in cui venne reintrodotta solo per reati gravissimi come il rapimento, la strage, l’omicidio ed altre nefandezze.
Essa rimase in essere fino al 1947.
Oggi la nostra costituzione repubblicana aborrisce tale metodo punitivo in quanto la pena la si è intesa non come una punizione fine a se stessa, ma come un metodo di redenzione per il reo.
Non oso commentare, in primis poiché non ne son all’altezza, in secundis per non inviare una sterile discussione. Accetto solo il fatto per quello che è !
Passiamo a temi più leggeri, si diceva che avremmo parlato di musica e che essa sia:
Nel 1678 nasceva Antonio Vivaldi, permettetemi un breve cenno:
Nacque a Venezia il 4 marzo 1678, il padre Giambattista era fornaio ma si dilettava con la musica ed aveva fama di buon violinista, cosa che gli avrebbe permesso di entrare dei musicisti della Cappella di San Marco. Fu lui ad iniziare il giovane Antonio allo studio del violino, forse perchè ne aveva intuite le doti, o forse per avviarlo ad un’occupazione che avrebbe potuto contribuire al magro bilancio familiare. La famiglia Vivaldi era numerosa: Antonio fu il primo di nove figli, e il fratello del padre, mercante di vino e anch’egli con prole numerosa, non poteva essere di grosso aiuto. Purtroppo il mestiere di musicista era duro e poco stabile, i salari miseri. Nel 1703 Antonio fu ordinato sacerdote, più per convenienza sociale che per vocazione, dato che condusse un’esistenza non propriamente consona all’abito ecclesiastico .Egli officiò il rito in chiesa solamente per pochi anni, ma con la tonsura e i voti ottenne il titolo di “prete”, che ,unito alla sua folta e fulva capigliatura , gli diedero il soprannome di “prete rosso”. Non celebrò quasi mai la messa, anche a causa della sua salute malferma: già alla nascita si era temuto il peggio e il neonato aveva ricevuto una sorta di pre-battesimo in casa, ufficializzato solo due mesi dopo. La malattia che lo avrebbe tormentato per tutta la vita ,gli studiosi si sono sbizzarriti ad identificarla con epilessia, rachitismo, tisi o angina pectoris era, secondo recenti ricerche, un’asma bronchiale di origine allergica. Di certo, stando alla testimonianza dei contemporanei, questo giovane nervoso aveva più a cuore la musica della liturgia, se è vero che un giorno mentre diceva messa, essendogli venuto in mente il tema di una fuga, abbandonò l’altare per scriverlo sulla partitura e poi tornò ad officiare come se nulla fosse, guadagnandosi una denuncia all’Inquisizione, che però lo giudicò come un musicista, cioè come un pazzo, e si limitò a proibirgli di dire messa in futuro. Nello stesso anno entrò come insegnante di violino all’Ospedale della Pietà, uno dei quattro conservatori veneziani nei quali fanciulle orfane o bisognose erano avviate alla musica. Qui l’anno successivo ottenne anche la nomina a maestro di viola per un compenso di 100 ducati l’anno. Il suo compito era insegnare a suonare alle giovanissime “figlie del coro”, le povere orfanelle che vi erano ricoverate per esservi educate a spese della carità pubblica. Questo incarico lo persuase ad abbandonare definitivamente la carriera ecclesiastica e gli permise di applicarsi con più metodo alla musica: potè così pubblicare la ristampa della sua prima fatica, un libro di Sonate da camera a tre, già uscito nel 1703 e che aveva contribuito in maniera determinante alla sua assunzione all’Ospedale.
Ora che lo conosciamo meglio, forse ci è un pochino più simpatico.
Di musica continuiamo a parlare: oggi sarebbe il compleanno di Lucio Dalla, vi ricordate il suo grande successo “ 4 marzo 1943 “ ebbene si è la data del suo genetliaco, oggi lo piangiamo come un grande cantautore, la sua dipartita avvenne il 1 Marzo 2012, a pochi giorni al suo compleanno.
Ora facciamo un salto verso la cucina:
Come oggi nel 1152 Federico Barbarossa venne eletto Imperatore del Sacro romano Impero; cosa ha a che fare con il desco? Nulla, ma mi piace ricordare una piccola storia che mi raccontarono anni fa mentre per lavoro era nella bellissima terra di Umbria. Si racconta che in provincia di Perugia, nel paesino di Campello Alto, alle fonti del Clitunno, si sia fermato il germanico imperatore con il suo esercito, pronto a dar battaglia e sconfiggere gli Spoletani. La leggenda vuole che la cuoca del castello di Pissignano, preparasse per l’illustre personaggio dei meravigliosi Strangozzi al tartufo nero. Il sire, dopo averli gustati cambiò idea e perdono gli abitanti di Spoleto.
Vi chiederete cosa siano gli Stangozzi, be son una cosa buonissima e poi con il tartufo, figli del fulmine e della madre terra, son un vero orgasmo di sapori, ma andiamo a curiosare l’antica ricetta:
Disponete della farina a fontana, aggiungete sale a vostro gusto, poco olio rigorosamente di oliva ed ovviamente Umbro e acqua tiepida. Impastare fino ad ottenere una balocco abbastanza consistente. Tirare la sfoglia un po’ più spessa delle fettuccine, e tagliarla a strisce larghe la punta di un’unghia, in parole povere, gestitele come delle tagliatelle ma senza l’uovo.
Preparare il condimento facendo dorare dell’aglio tritato nell’olio. Togliere l’aglio dal tegame, lasciar intiepidire il liquido, e aggiungere tartufo nero tritato con poco sale. Con questo intingolo condire la pasta una volta cotta.
Che fameeeee
Vi lascio e vi saluto, per oggi è tutto.
Ciao ciao CS