C Cari amici,
son qui rintanato nel mio antro a scrivere ed a pensare, i giorni passano ed assieme a loro gli anni, ma a me non interessa poiché, come scriveva il poeta:
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna: e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra’ l compianto de’ templi Acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d’Iddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove nè donna innamorata preghi,
nè passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Mi ascolto beato un brano di Paradisi suonato con l’arpa, e mi fumo una presa di Borkum Riff sereno.
Voglio iniziare l’angolino odierno con il rammentarvi che oggi avvenne la nota “disfida di Barletta” , guardiamo meglio cosa accadde nelle terre di Puglia nel 1503:
Era una fresca mattina nella cittadina pugliese di Barletta, cavalieri Italiani e cavalieri Francesi si stavano preparando per affrontarsi in singolar tenzone. Ebbene si, stava per avere inizio la famosa disfida di Barletta, il motivo di questa giostra cavalleresca, pare fosse stata l’infelice critica di Charles de Torgues detto La Motte, cavaliere d’oltralpe, che sosteneva il poco valore degli italici.
La sfida era lanciata e la raccolse Ettore Fieramosca con altri dodici cavalieri. L’epilogo tutti lo conoscete, la vittoria fu degli Italiani, ma vorrei citarvi i nomi dei contendenti di casa:
Ettore Fieramosca o Ferreamosca, di nobili natali, Originario di Capua.
Bartolomeo Tito Alon detto Fanfulla, da Lodi, lombardo, che poi morì nella battaglia di Pavia del 1525, c’è da ricordare che l’associazione calcio della città di Lodi è intitolata proprio a lui.
Marco Corollario detto di Matteo, originario di Napoli.
Sebastiano Romanello da Forlì.
Poi Ludovico Abenevole.
Mariano Abignente.
Guglielmo Albamonte.
Giovanni Brancaleone, vi ricordo che il castello dei Brancaleone è situato nelle Marche nella simpatica cittadina di Piobbico.
Giovanni Capoccio.
Francesco Salamone.
Ettore Giovenale.
Pietro Riccio da Parma, nella bella città emiliana vi è una via dedicata a lui, Borgo Riccio.
Ed in fine quello dal nome più curioso, Maiale da Troia, che stesse antipatico ai suoi genitori? No era solo originario di Troia in Provincia di Foggia.
Secondo le poche fonti su cui basarsi, pare che durante il torneo un solo cavaliere ricevette una ferita mortale, egli fu del campo Francese, Claud Grajan d’Aste, che alcuni vollero indicare come un cavaliere Italiano che aveva scelto la parte nemica ed il suo vero nome era Claudio Graiano d’Asti, ma non vi è certezza, anzi solo dubbi.
Certo che nella volontà romanzesca di Massimo d’Azeglio : “ Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta “ il povero Claud fa una ben misera figura e divenne sinonimo di traditore delle italiche genti, tanto che nella seconda metà del XIX secolo, il suo nome divenne sinonimo di tradimento.
Vi ricordo il film “ il soldato di ventura “ con un gigantesco Bud Spencer (statura 192 cm) nella parte di Ettore Fieramosca, nel ruolo di La Motte, invece, un favoloso Philippe Leroy, che pochi sanno essere il marito di Silvia Tortora, ovvero la figlia del tanto sfortunato e perseguitato ingiustamente Enzo Tortora. Ai più lo spigoloso attore francese è noto per aver dato il volto al personaggio Salgariano di Yanez de Gomera, nel teleromanzo di Sollima che tanto aveva avuto successo a metà degli anni ’70.
Anche se la realtà storica nel film è disattesa, rimane comunque una pellicola molto divertente e da rivedere.
Passiamo ad altro argomento:
Oggi, per gli ebrei, è la festa del Tu Bishvat, ovvero il giorno centrale del mese di Shevat, oppure festa degli alberi.
Vediamo assieme di che si tratta:
La Torah racconta di come venne distribuita la terra di Israele alle dodici tribù. In particolare alla tribù dei Leviti e dei Cohen non venne assegnato alcun territorio da quale ricavare sostentamento, ma vennero istituite le decime, ovvero le tasse, con le quali le altre tribù dovevano concorrere al sostentamento dei Leviti e dei Cohen.
In particolare, come sorta di tassa sul prodotto doveva essere versata la decima parte del prodotto dell’anno. La destinazione delle decime veniva decisa secondo il ciclo dei sette anni del calendario ebraico. Vi ricordate l’episodio di Giuseppe che spiega al faraone il sogno dei sette anni di abbondanza e sette di carestia? I nostri antenati erano molto più saggi di noi uomini tecnologici ed il tempo lo sapevano osservare, e con esso le sue variazioni e stagionalità. Torniamo a noi:ogni anno una prima decima andava interamente alla tribù dei Leviti, e sulla parte rimanente di prodotto veniva applicata un’ulteriore decima che veniva differenziata a seconda dell’anno: nel terzo e sesto anno del ciclo essa veniva donata ai poveri; nel primo, secondo, quarto e quinto invece restava al produttore che, però, la doveva consumare personalmente a Gerusalemme, se abitava un po’ fuori mano erano rogne. Il settimo anno, in quanto anno sabbatico, i prodotti della terra non venivano raccolti.
L’osservanza di questa regola prevede, però, la definizione di una sorta di inizio d’anno fiscale per calcolare a quale anno siano da riferire i prodotti della terra. A questo scopo si può identificare come inizio di anno il momento in cui le precipitazioni terminano e le piante da frutta fanno sbocciare i primi fiori. In terra d’Israele questi eventi cadevano grossomodo durante la prima quindicina del mese di Shevat .
Secondo la concezione Italiana moderna a nessuno verrebbe in mente di festeggiare il momento di pagare una tassa, a meno che non ti chiami Levi o Choen. Considerando, però, che le tasse sul prodotto venivano versate a raccolto avvenuto e non durante il Tu BiShvat, il festeggiamento rappresentava una sorta di ringraziamento per la fecondità della terra nell’anno precedente e un’occasione di augurarsi un raccolto migliore per l’anno successivo.
Tu BiShvat è una festività minore durante la quale non è proibito lavorare, sebbene permangano alcuni divieti riguardo la manifestazione di tristezza, sono ad esempio vietate le orazioni funebri.
La forma delle celebrazioni è diventata abbastanza definita solo in epoca moderna grazie al lavoro di Rabbi YitzchakLuria della città di Safed e dei suoi discepoli che nel 1600 elaborarono un seder ad imitazione del seder di pesach ( e adesso ditemi cosa ho detto?). In particolare si usano mangiare i frutti che nella Torah vengono associati alla terra di Israele: uva, fichi, melograni, olive, datteri, mandorle, pistacchi, noci, agrumi. Oltre a questi si usa poi mangiare qualsiasi altro frutto sia generato da alberi. Il consumo dei frutti viene intercalato dalla lettura di brani della Torah e di commenti rabbinici, il tutto annaffiato con il vino, che è frutto degli alberi della vite e del lavoro dell’uomo.
Dato che in questi giorni non si fa altro che parlare di genocidi del XX secolo, e di chi fosse più cattivo, vorrei ricordare un fatto: come oggi nel 1945 il rabbino capo di Roma, Israel Zolli volle convertirsi al cristianesimo come segno di ringraziamento verso papa Pio XII per aver salvato migliaia di ebrei dai massacri nazisti. Egli scelse il nome di Eugenio, dal greco con il significato di Ben Nato, a voi voler comprendere un più profondo significato.
Il parlare di contrapposizioni politiche di un secolo ormai relegato alla storia, non è l’unico motivo della stampa della prima metà di Febbraio, c’è l’epilogo della tenzone canora di San Remo, che ammetto non ho seguito assolutamente e di cui ignoro il podio, ma a me interessa altro.
Cerco l’inatteso, il sale della zuppa, il piccolo aneddoto che a voi piace tanto. Mi son chiesto il motivo del nome della nota cittadina Ligure di San Remo. I nostri antenati vollero dedicare questo luogo ad un santo diverso ma affine nella pronuncia, il famoso santo, ex vescovo di Genova, San Romolo.
Si si avete letto bene San Romolo, che con Remo condivide solo un collegamento semantico ai due gemelli di capitolina memoria; ma perché si è arrivati a Remo da Romolo?
In dialetto ligure, il paese era detto San Rṍmu e questa strana “O” viene foneticamente resa come un suono simile ad una “E” e quindi veniva pronunciato come San Remu. Da qui l’attuale toponimo. Spiegato l’arcano!
Come oggi nel 2015 ero convinto che ci fosse “speranza” oggi dopo cinque anni son certo del contrario.
Essa se ne è andata…
Un saluto
CS